lunedì 13 agosto 2018

La Free Modem Alliance al fianco di AGCOM per la trasparenza e la libertà di scelta nelle telecomunicazioni.

Dopo una battaglia durata quasi tre anni, la campagna per la difesa del modem libero ha raggiunto uno dei suoi più importanti traguardi, con l'emanazione, da parte dell'AGCOM, di nuove disposizioni a tutela della libertà di scelta degli utenti, della trasparenza e della concorrenzialità del mercato. La soddisfazione per questo risultato, oltre che politica, è anche personale, essendomi impegnato direttamente per il suo raggiungimento sia al fianco dell'On. Ivan Catalano, sia, in seguito, come coordinatore della Free Modem Alliance.

La Free Modem Alliance, un'alleanza di scopo costituita da produttori di modem/router, distributori, operatori di telecomunicazioni e associazioni di consumatori, ha avuto un ruolo determinante nel portare la questione in sede regolatoria. Disponendo, anche grazie ai propri membri, di un team di lavoro eterogeneo e ad altissima specializzazione, l'Alliance è riuscita a partecipare con successo a tutte le consultazioni sulla tematica del modem libero, sia in sede nazionale (Agcom), sia in sede europea (Berec), anticipando e confutando le tesi invocate dai grandi operatori a difesa delle loro prassi abusive.

A seguire, vi allego il comunicato recentemente diramato dalla FMA, che ripercorre le tappe della campagna e delinea la prosecuzione delle nostre attività per i prossimi, cruciali mesi.

La Free Modem Alliance esprime soddisfazione per l’emanazione della delibera AGCOM 348/18/CONS, che garantisce la piena applicazione in Italia della regolamentazione europea sulla Net Neutrality (EU) 2015/2120. La delibera, che giunge a conclusione del procedimento 35/18/CONS (sul c.d. Modem Libero), tutela il diritto degli utenti a scegliere liberamente le proprie apparecchiature terminali (modem o router) e ad avvalersi di tecnici di fiducia, ponendo fine alle indebite imposizioni, dirette ed indirette, dei grandi operatori. 

Nonostante i diritti degli utenti fossero già chiaramente sanciti dal Regolamento (EU) 2015/2120, per quasi un biennio i grandi operatori hanno perseverato nelle loro pratiche abusive. Ma oggi, a seguito l’approvazione della delibera 348/18/CONS, gli operatori non potranno più imporre ai clienti l’utilizzo di specifici modem o router. Entro tre o quattro mesi - a seconda del momento in cui hanno aderito alle offerte vincolate - i clienti che hanno subito tale imposizione potranno restituire gli apparati ricevuti e, sulla base delle proprie preferenze in termini di tecnologia utilizzata, prestazioni o produttore, dotarsi di modem e router di propria scelta. Assistiamo quindi a un radicale cambio di passo: si riconoscono i diritti dei consumatori, si stimola l’innovazione tecnologica, si garantisce una maggior concorrenza ed un conseguente abbattimento dei costi.

Inoltre, lo scorso 19 luglio, l’AGCOM ha approvato la Delibera 292/18/CONS, in forza della quale gli operatori non potranno più pubblicizzare come “fibra” forme di connessione a internet nelle quali la fibra ottica non raggiunge almeno l’edificio dell’utente. L’Alliance esprime la propria soddisfazione per l’accoglimento delle osservazioni formulate nel corso della consultazioni e miranti a semplificare terminologie e simboli caratterizzanti le diverse forme di connessione a internet. 

Le disposizioni così introdotte contribuiranno a migliorare la trasparenza delle offerte, a tutela degli utenti ma anche, in ultima analisi, dell’intero mercato, premiando indirettamente quegli operatori che, già prima dell’intervento dell’Autorità, caratterizzavano correttamente i propri servizi di telecomunicazione e riconoscevano agli utenti la libertà di scegliere il proprio terminale.

Anche dopo questi importanti traguardi, la Free Modem Alliance e i suoi membri (AIIP, Associazione Italiana Internet Provider; AIRES Confcommercio; Allnet Italia; Altroconsumo; Assoprovider, Associazione Provider Indipendenti Italiani; Movimento difesa del Cittadino; VTKE, Verbund der Telekommunikations-Endgerätehersteller) continueranno la propria attività di stimolo e di vigilanza, affinché le nuove regolamentazioni AGCOM trovino piena ed effettiva applicazione.

mercoledì 3 maggio 2017

A Milano, avvocati e tecnici a confronto sui veicoli automatici.


Il 28 e 29 aprile di quest'anno, Milano ha ospitato l'incontro di studio "Autoveicoli a guida assistita ed autonoma: in viaggio verso nuovi orizzonti", organizzato dallo Studio Legale Capponi e patrocinato dal Comune e dall’Ordine degli Avvocati di Milano. L'evento ha riunito un eterogeneo gruppo di esperti che, di fronte a una platea di avvocati, magistrati e ricercatori, si sono confrontati sulla crescente automazione dei veicoli e sulla prossima diffusione di veicoli capaci di fare in parte o in tutto a meno di un conducente.

In lingua inglese, tali veicoli sono ancora variamente denominati come autonomous car, driverless car, self-driving car, robotic car o google car. Il termine più opportuno in lingua italiana, anche in vista di un uso normativo, pare essere quello di "veicoli automatici" o "veicoli a guida automatica". Al contrario, come argomentato dal Prof. Franco Riva, i termini "veicoli autonomi" o "a guida autonoma", che pur si stanno affermando, risultano impropri. E' autonomo il soggetto capace di stabilire le norme che regolano il proprio comportamento. Autonomia è libertà. Almeno all'attuale stato delle tecnologie informatiche, l'intelligenza artificiale non è autonoma, poiché le regole che ne guidano il funzionamento sono programmate da un diverso soggetto, l'uomo.

La Society of Automotive Engineers ha sviluppato una classificazione su sei livelli dei veicoli, a seconda del ruolo e del grado di controllo riservato al guidatore umano. Pare opportuno richiamarla preliminarmente, così da potervi fare riferimento nel prosieguo.
  • Livello 0 - Nessuna automazione: ogni aspetto della guida dinamica è riservato al guidatore umano, pur in presenza di sistemi di allarme e di intervento.
  • Livello 1 - Assistenza alla guida: il veicolo può accelerare, frenare e sterzare autonomamente in determinate situazioni, ma il guidatore deve essere pronto a riprenderne il controllo in qualsiasi momento.
  • Livello 2 - Automazione parziale: accelerazione, frenata e sterzo sono lasciati completamente al veicolo, ma compete in ogni caso al guidatore umano il monitoraggio dell'ambiente circostante; il guidatore deve essere pronto ad intervenire in caso di richiesta del sistema.
  • Livello 3 - Automazione condizionata: il veicolo è in grado di gestire non solo accelerazione, frenata e sterzo, ma anche il monitoraggio dell'ambiente; il guidatore deve essere pronto ad intervenire in caso di richiesta del sistema, a fronte di condizioni estreme.
  • Livello 4 - Alta automazione: come livello precedente, ma il veicolo è in grado di mantenere la guida dinamica anche qualora il guidatore umano non risponda a una richiesta di intervento da parte del sistema.
  • Livello 5 - Completa automazione: Il sistema di guida automatica è in grado di gestire tutte le situazione gestibili da un umano.
Non potendo entrare nel dettaglio di tutti i temi affrontati, cercherò ora di sintetizzare alcuni dei punti emersi nel corso della discussione. Il primo è che la tecnologia di cui parliamo è destinata ad affermarsi nel giro di pochi anni. Infatti, a muoversi verso i veicoli automatici non sono più solo colossi come Google, Uber e Lyft o nuovi players del settore automotive come la Tesla di Elon Musk, ma anche alcune delle maggiori case automobilistiche tradizionali. Diversi di tali soggetti prefigurano la produzione su scala industriale di veicoli di livello 4 e 5 entro il 2020.

In secondo luogo, pare esserci un tendenziale consenso circa il vantaggio sociale conseguente all'introduzione di tali tecnologie. La maggior parte degli incidenti stradali è collegabile a errori o responsabilità umane. Durante l'incontro né è stata citata un'incidenza del 94%, ma in verità vi sono stime discordi a seconda dei criteri utilizzati. Raramente tuttavia esse scendono sotto l'80%. Un'intelligenza artificiale avrebbe direttamente nella propria programmazione il rispetto di tutte quelle regole cautelari (velocità, distanze di sicurezza, ecc) la cui violazione da parte del singolo conducente è spesso la causa di eventi lesivi. Inoltre, un veicolo a guida autonoma può avere capacità percettive maggiori dell'essere umano, nonché una maggiore velocità e precisione nell'elaborare delle previsioni cinematiche.

Sarebbe eccessivamente ottimistico ipotizzare una diminuzione degli incidenti stradali speculare alle percentuali sopra riportate. Anche un'IA può commettere degli errori. Tuttavia, le sperimentazioni fin qui effettuate hanno dato risultati molto positivi. I sinistri che hanno coinvolto fino ad oggi veicoli automatici, infatti, sono risultati conseguenti non alla programmazione del mezzo, ma al comportamento umano (spesso violazioni del codice della strada da parte di altri utenti della stessa). La compresenza di guida umana e guida automatica è, d'altra parte, un elemento problematico non solo nell'interazione tra veicolo e veicolo, ma anche in quella tra il singolo veicolo e il proprio conducente. In particolare, per livelli di automazione inferiori al 4°, la transizione da guida automatica a guida manuale costituisce un momento delicato. Infatti, dopo avere distaccato la propria attenzione dalla guida, il conducente umano ha bisogno di tempo per riprendere pienamente il controllo del veicolo.

Ad oggi, la possibilità di circolare, in Italia, con veicoli automatici dei livelli superiori va esclusa. Come evidenziato dall'Avv. Capponi, l'attuale definizione di veicolo, di cui all'art. 46 del Codice della strada, richiede espressamente la presenza di un guidatore umano. In sua assenza, la vettura, non essendo considerata veicolo per il codice della strada, non può circolare sulla carreggiata. Il requisito della guida umana è stato a suo tempo inserito dal legislatore italiano in esecuzione della Convenzione di Vienna del 1968, la quale prevede, all'art. 8, che ogni veicolo in movimento debba avere un conducente. Per consentire la circolazione di veicoli automatici di livello superiore, si è quindi suggerito di espungere il riferimento alla guida umana dall'art. 46, ma si è evidenziato che ciò potrebbe determinare una violazione della Convenzione. Che fare quindi? Da tecnico legislativo, ritengo che anziché eliminare tout court il riferimento alla guida dell'uomo, si potrebbe affiancarvi quello della guida da parte di un'intelligenza artificiale, richiedendo in alternativa l'una o l'altra. Anche il termine utilizzato dalla Convenzione, ossia "conducente", potrebbe prestarsi a un'interpretazione evolutiva, che consenta di ricomprendervi anche un sistema elettronico di guida. In ogni caso, la problematica sulle omologazioni appare tutt'altro che insuperabile a livello legislativo.

Durante l'incontro, ci siamo poi interrogati su come si potrebbero astrattamente applicare le norme vigenti, al fine di individuare le responsabilità in caso di sinistro. Il caso più semplice è probabilmente quello nel quale l'evento lesivo dipenda dalla guida del conducente umano. In tal caso, dovrebbe trovare applicazione l'art. 2054 c.c., che prevede una responsabilità extracontrattuale aggravata e presunta in capo al conducente. Anche nel caso di incidente provocato da una guida totalmente automatica, si potrebbe forse invocare il comma 4 del citato art. 2054 c.c., che prevede una responsabilità solidale del proprietario del veicolo o l'art. 2051 c.c., che prevede la responsabilità del custode del bene. Una scelta più opportuna parrebbe però quella di invocare la responsabilità del produttore, ai sensi dell'art. 114 del Codice del Consumo, sostenendo che la programmazione del veicolo, laddove idonea a causare un sinistro, renda il veicolo difettoso.

De iure condendo, è possibile ipotizzare almeno due modelli di attribuzione di responsabilità. La prima è quella di prevedere una responsabilità oggettiva del proprietario, con un connesso obbligo di assicurazione obbligatoria RC auto. La seconda è quella di incardinare la responsabilità in capo al produttore.  L'opzione preferibile secondo il Prof. Antonio Albanese è la seconda, in quanto consente un'efficace ed equa distribuzione dei costi connessi ai rischi della nuova tecnologia. Infatti, i produttori saranno costretti ad assicurarsi e i relativi costi si scaricheranno sul prezzo finale del veicolo. I costruttori, ossia i soggetti con maggior potere nel determinare la sicurezza del veicolo, saranno così incentivati ad incrementarla quanto più possibile. La tesi pare condivisibile. D'altra parte, risulterebbe sensato far permanere una responsabilità del proprietario del veicolo, nel caso in cui l'evento lesivo dipendesse da una significativa negligenza di quest'ultimo nel mantenere aggiornati i software. Si porrebbe però, in tal caso, l'esigenza di mantenere una copertura assicurativa anche in capo ai proprietari.

Fra i temi trattati vi è stato anche quello della privacy e della proprietà sui dati generati dal veicolo. Si tratta di una questione di primaria rilevanza in quanto il funzionamento e il potenziamento di tali tecnologie dipende anche dall'elaborazione da un ingente mole di dati. Anche al di là del profilo del diritto alla riservatezza, si pone una più ampia questione circa la proprietà dei dati generati dai veicoli durante la circolazione. Si tratta di una questione invero non limitata al campo della mobilità, ma anzi estesa a tutti gli ambiti di applicazione di tecnologie smart, a cominciare dalla domotica. A chi devono appartenere tali dati: al proprietario del dispositivo, al suo utilizzatore, o al suo costruttore? Mi riservo invece di approfondire in altra sede i riflessi sul diritto penale della nuova tecnologia, che si inseriscono pienamente nel dibattito sulla società del rischio.

Da ultimo, è necessario considerare che la diffusione dei veicoli automatici porta con sé conseguenze ben più profonde rispetto a tutti gli sviluppi dell'automotive succedutisi negli ultimi decenni. Tali veicoli, per funzionare ottimamente, devono infatti inserirsi in un ITS, ossia un sistema intelligente, cooperativo e interconnesso, in cui i singoli veicoli comunicano tra loro e con le diverse infrastrutture, in modo da aggiornarsi in tempo reale su ogni dato rilevante per la circolazione, dalle condizioni climatiche alla presenza di ostacoli in carreggiata, dalle aree di parcheggio disponibili alle restrizioni al traffico. Si tratta di un ulteriore aspetto che contribuirà, nei prossimi anni, a passare da un modello incentrato sulla proprietà, nel quale l'automobile è un bene, a un modello incentrato sull'uso condiviso, nel quale l'automobile è un servizio. Non è un caso che alcuni dei più promettenti progetti di veicoli automatici riguardino proprio la costituzione di flotte destinate al car sharing.

In conclusione, desidero ringraziare i relatori e gli organizzatori di questo incontro, che ha consentito di avviare un dibattito giuridico e politico ormai improcrastinabile. Se non saremo in grado di proseguire e trarre delle conclusioni da questo dibattito ci ritroveremo, fra pochissimi anni, con un assetto normativo inadeguato agli sviluppi raggiunti dall'industria e acquisiti nel mercato internazionale.

giovedì 27 aprile 2017

Blocco di Uber e necessità di riforma del settore: una riflessione politico-legislativa.

Insieme all'On. Catalano, ho redatto un breve commento a seguito dello stop imposto dal Tribunale di Roma al servizio Uber Black. Benché tale stop sia stato sospeso in sede di reclamo, la questione non è ancora definita, e il testo che segue è quindi pienamente attuale. Si tratta di una serie di riflessioni inevitabilmente a caldo, rispetto alle quali, in un'ottica più a lungo termine, siamo più che disponibili a confrontarci da un punto di vista giuridico e politico-legislativo.

Il 7 aprile scorso, la sezione specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Roma, ad esito di procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. (R.G.76465/2016), si è pronunciata in merito alla legittimità dei servizi offerti da Uber in Italia, con una sentenza di sicuro impatto per tutto il settore del noleggio con conducente (nel prosieguo, NCC). Gli scriventi intendono qui esaminare alcune delle questioni giuridiche alla base di tale decisione, anche al fine di stimolare una riflessione sulla disciplina vigente in materia di servizi pubblici non di linea e sull’opportunità di una sua riforma.

Fra le prime questioni di merito, il giudice ha dovuto valutare se dovessero ritenersi effettivamente in vigore le modifiche alla L. 21/1992 introdotte dall’art. 29, comma 1-quater del decreto-legge n. 207/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14/2009. Attraverso tali modifiche, il legislatore aveva previsto, per i servizi di noleggio con conducente, già precedentemente regolamentati, una serie di prescrizioni particolarmente rigide, se non proprio punitive. Il Governo allora in carica, a fronte della grave portata anticoncorrenziale delle nuove norme - censurata dalla stessa AGCM - pose rimedio immediatamente. Attraverso l’articolo 7-bis, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’entrata in vigore delle norme di cui al citato art. 29, co. 1-quater. Tuttavia, a causa di un mancato coordinamento del successivo articolo 2, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 e, a catena, di tutte le proroghe disposte di anno in anno da allora, dal 2010 è scaturito un grave conflitto interpretativo tra organi giudiziari, forze di polizia e, addirittura, diversi poteri dello Stato, avente ad oggetto proprio l’entrata in vigore o meno delle disposizioni de qua.

Il Tribunale di Roma ha tuttavia rilevato che tale conflitto interpretativo deve oggi ritenersi risolto, o quantomeno superato, a seguito dell’entrata in vigore della Legge di conversione del D.L. 244/2016, Infatti, attraverso l’art. 9, comma 3 di tale Legge, il legislatore, “come desumibile dalle espressioni usate -‘conseguentemente’; ‘si intende’ – ha voluto interpretare, quindi con effetto retroattivo, le norme contenenti le precedenti proroghe riguardanti il termine di adozione del decreto ministeriale previsto dal d.l. 25.3.2010 n.40, nel senso di ritenere differito, con dette proroghe, anche il termine di efficacia dell’art.29 comma 1 quater del d.l. n.207 del 2008.” Il giudice ha aggiunto che, anche qualora si volesse negare la natura di norma di interpretazione autentica del citato art. 9, comma 3, comunque esso disporrebbe, dalla propria entrata in vigore, una nuova sospensione. Le norme dell’art. 29, co. 1-quater, quindi, non sono in vigore.


Dall’esame della disciplina legale di taxi e NCC, il giudice ha rilevato la natura essenzialmente locale di tali servizi. Ciò si evincerebbe dall’aver affidato ai Comuni, in base ai criteri stabiliti dalle regioni, l’esercizio delle funzioni amministrative, significativi poteri regolamentari nell’ambito della programmazione territoriale, la competenza nello stabilire il numero e il tipo dei veicoli da adibire ad ogni singolo servizio, le modalità di svolgimento dello stesso, nonché i requisiti per il rilascio delle licenze taxi e delle autorizzazioni NCC. Ne conseguirebbe, secondo il Tribunale, l’obbligo per gli NCC di dotarsi di rimessa nel Comune che ha rilasciato l’autorizzazione, benché ciò non sia in effetti esplicitato dalla Legge 21/1992, la quale anzi precisa, all’art. 13, comma 3, che il servizio di ncc può essere effettuato senza limiti territoriali.

Ciò premesso, Uberblack consentirebbe agli autisti un doppio aggiramento della normativa. Prima di tutto, attraverso la app gli NCC avrebbero modo di intercettare un’utenza indifferenziata mentre circolano per la pubblica via, anziché unicamente utenza specifica che ad essi si rivolge “presso la rimessa”. Secondariamente, consentirebbe ai propri conducenti di operare stabilmente al di fuori dell’ambito territoriale all’interno del quale hanno ottenuto l’autorizzazione e nel quale dovrebbero quindi avere la rimessa..

Inoltre, Uber non agirebbe come semplice intermediario ma andrebbe considerato come organizzatore di un’attività di trasporto a scopo di lucro, in quanto “promuove, organizza e gestisce l’intero servizio di trasporto effettuato dai singoli vettori dotati di autorizzazione ncc, provvedendo anche all’indicazione delle tariffe, sulle quali, a prescindere dall’eventuale minore pattuizione tra autista ed utente, parametra i propri compensi, curando gli incassi”. Uber entrerebbe quindi in concorrenza con gli altri fornitori di servizi di trasporto non di linea, e tale concorrenza andrebbe qualificata come sleale verso i taxi e gli NCC regolari. Verso i primi, in quanto gli autisti Uber non soggiacciono a tariffe amministrate, verso i secondi in quanto recide il legame tra i propri autisti e la loro rimessa. Infine, verso entrambe le categorie, in quanto, a differenza degli ordinari noleggiatori, intercettano anche utenza indifferenziata.

Il Tribunale si è altresì pronunciato sull’asserita illegittimità costituzionale della Legge 21/1992, per contrasto con gli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione. Quanto a quest’ultimo articolo, l’incostituzionalità, secondo i resistenti, sarebbe dipesa dal contrasto della normativa italiana con gli articoli 102 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Il giudice, rigettando tale tesi, non ha ritenuto “che detta normativa sia idonea a limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori (art.102 TUEF), in quanto non impedisce di per sé l’utilizzazione delle nuove tecnologie, quale può essere una app, per il servizio ncc, ben potendo utilizzarsi la nuova tecnologia in modo rispettoso della normativa pubblica disciplinante il servizio consentendo, per esempio agli utenti di rintracciare, invece che il singolo autista, la rimessa di ncc più vicina o di visualizzare le rimesse site nel comune di interesse, favorendo un più rapido contatto con le stesse e consentendo al titolare di gestire liberamente il servizio utilizzando una vettura ancora parcheggiata nella rimessa ovvero una vettura in fase di rientro dall’ultimo servizio espletato.” La Legge sarebbe poi conforme all’art. 3 della Costituzione, in quanto le diverse modalità di esercizio dei servizi taxi e NCC sarebbero dirette al ragionevole obiettivo di consentire una diversa modulazione dei servizi di trasporto pubblico non di linea al fine di soddisfare diverse tipologie di consumatori. Infine, anche la tesi del contrasto con l’art. 41 Cost. sarebbe priva di pregio, posto che quest’ultimo già prevede, nella sua formulazione, la possibilità di limiti alla libertà economica quali quelli che discendono dalla Legge 21/1992.

Il giudice, si è pronunciato su diversi, ulteriori punti (per esempio, sulla legittimazione passiva delle società resistenti), che non verranno in questa sede commentati, in quanto le questioni ad essi sottesi risultano di importanza secondaria in un’ottica legislativa. Venendo quindi al dispositivo, il Tribunale di Roma, accertata una condotta di concorrenza sleale, ex art.2598 n.3 c.c., sia in capo alle società del gruppo Uber, sia all’autista F.M., ha inibito “alle parti resistenti di porre in essere il servizio di trasporto pubblico non di linea con l’uso della app Uber Black e delle analoghe app Uber-Lux, Uber-Suv, Uber-X, Uber-XL, UberSelect, Uber-Van, disponendo il blocco di dette applicazioni con riferimento alle richieste provenienti dal territorio italiano, nonché di effettuare la promozione e pubblicizzazione di detti servizi sul territorio nazionale”.

Nel complesso, la decisione offre degli spunti e delle argomentazioni ricche di interesse. Ciò non impedisce, peraltro, di sottolineare alcuni dubbi da parte degli scriventi. Un passaggio di motivazione problematico, che avrebbe meritato forse un maggiore approfondimento, è quello relativo alla legittimità della normativa in relazione alle norme del TFUE. Se é vero, come osservato dal giudice, che l’utilizzo di un’applicazione web non è precluso dalla normativa vigente, è altrettanto vero che Uber e servizi simili (compresi quelli sviluppati da taxi) si basano su tecnologie ulteriori rispetto al mero uso di internet su dispositivi portatili. Centrale in questi servizi e connesse applicazioni è infatti la reciproca geolocalizzazione delle parti, che consente alle stesse di ottimizzare i tragitti riducendo i tempi di attesa. Nel momento in cui la normativa italiana impedisse, come ritenuto dal Tribunale di Roma, la geolocalizzazione del veicolo NCC, sostituito dall’indicazione di una rimessa fissa, essa costringerebbe il consumatore a tempi di attesa sistematicamente più lunghi. Vietando al consumatore di sfruttare la tecnologia di geolocalizzazione - già esistente su pressoché ogni dispositivo mobile commercializzato - per conoscere la posizione del veicolo più vicino, la normativa gli imporrebbe un servizio meno ottimizzato e di minore qualità, con un conseguente danno. Gli scriventi non intendono qui sostenere che la Legge 21/1992, come interpretata dalla sentenza de qua, sia necessariamente illegittima per contrarietà con gli obblighi derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione Europea, anche alla luce della specialità riconosciuta ai servizi di trasporto urbano non di linea, e delle prassi e normative degli altri paesi europei. Ciononostante, la motivazione del Tribunale non pare pienamente soddisfacente e la questione merita di essere considerata più a fondo.


Il vero punto critico è però logicamente anteriore, e riguarda l’esatta interpretazione da dare alle norme della L. 21/1992. Tali norme, da un lato disciplinano il noleggio con conducente, come correttamente rilevato dal giudice, in un’ottica di servizio locale. Dall’altro, però, espressamente prevedono che esso può essere effettuato senza limiti territoriali. La contraddittorietà della disciplina rende necessario un sistematico intervento della magistratura per ricondurla ad unità. Il singolo giudice si trova quindi a dover valorizzare o gli aspetti localistici, o l’espressa assenza di limiti territoriali, delineando un equilibrio che comunque varrà per quel singolo caso. Da questo punto di vista, la ricostruzione operata dal Tribunale di Roma, che ha fatto prevalere il primo elemento sul secondo, è legittima e non irragionevole. E tuttavia, non è univoca alla luce del dato testuale.

Altro serio dubbio interpretativo è quello da dare ai concetti di “utenza indifferenziata” e di “utenza specifica”. Si tratta di elementi fondamentali della disciplina, in quanto delineano gli ambiti di utenza riservati, rispettivamente, a taxi e NCC. La Legge però, non dà alcuna definizione e i termini, nell’italiano comune, sono di estrema genericità. Il giudice ha ritenuto per esempio che quella di Uber sia utenza indifferenziata. E tuttavia, il fatto che per accedere al servizio l’utenza debba (i) registrarsi a una piattaforma, (ii) stipulare un contratto, (iii) installare software proprietario, consente ancora di ritenerla indifferenziata? Gli scriventi ne dubitano. Che dire, poi dei servizi di taxi su prenotazione nominativa, e in particolare di servizi come il taxi-aeroporto con il tassista che attende l’utente con un cartello nominativo all’uscita degli imbarchi, o del taxi come macchina nuziale? Si tratta di servizi taxi destinati a un’utenza tutt’altro che indifferenziata e che vanno infatti a sovrapporsi perfettamente con i servizi di noleggio con conducente. Vi è poi un’ulteriore questione interpretativa legata all’ambito dell’utenza del noleggio con conducente:, cosa vuol dire che l’utenza di tale servizio deve “avanzare richiesta presso la rimessa”? La norma, pur nascendo già vecchia al tempo della sua emanazione, aveva ancora un senso nel 1992. In quegli anni, i cellulari non erano ancora diffusi nel nostro paese e i servizi di trasporto non di linea si prendevano quindi o “al volo” su strada, o richiedendoli attraverso linea telefonica fissa. Ma oggi, una tale norma può essere interpretata ragionevolmente? E se sì, come? E altrimenti, quanto ancora si dovrà aspettare affinché il legislatore la sostituisca con una più adatta, dopo un quarto di secolo di attesa?

Da ultimo, riteniamo di dover citare uno dei primi passaggi della motivazione, nel quale il giudice non ha trattato un vero e proprio punto di diritto, rilevante per la decisione, ma ha piuttosto posto una premessa di ordine generale. In tale passaggio, il Tribunale ha osservato che il compito ad esso spettante non è quello “di valutare l’efficienza della normativa vigente in relazione alle attuali esigenze relative al trasporto pubblico non di linea ovvero la migliorabilità di detta disciplina in un senso più concorrenziale, come auspicato da più parti, ma di valutare la fondatezza o meno delle contestazioni oggetto del ricorso alla luce della legislazione attualmente in vigore.” Si tratta di un’osservazione scontata in un sistema caratterizzato dalla divisione dei poteri, sistema nel quale il giudice deve applicare le Leggi anche qualora ne rilevi l’inefficacia, l’inefficienza o l’ingiustizia, salvo ovviamente il rispetto della Costituzione, e in particolare del principio di uguaglianza-ragionevolezza di cui al suo articolo 3. E tuttavia, il fatto stesso che il giudice, prima di entrare nel merito, abbia sentito di dover ribadire i limiti del potere giudiziario, dovrebbe portare il legislatore a ricordarsi che è proprio oltre quei limiti che comincia il proprio potere, ossia quello legislativo. E’ al Parlamento che spetterebbe semmai “valutare l’efficienza della normativa vigente” e di riformarla “in un senso più concorrenziale, come auspicato da più parti”, senza delegare continuamente alla magistratura il compito di distillare una disciplina più o meno organica da un insieme contraddittorio e lacunoso di norme.

Non possiamo nascondere la nostra preoccupazione per il futuro del settore del noleggio con conducente. Si tratta di molte migliaia di lavoratori italiani, quotidianamente consegnati all’arbitrio applicativo di una normativa obsoleta e disorganica, che in 25 anni il legislatore non ha avuto la capacità, né la volontà di riformare.

On. Ivan Catalano
Avv. Gabriele Matteo Fiorentini

giovedì 30 marzo 2017

Il migliore avvocato non è quello che vince le cause, ma quello che le evita.

La missione primaria dell'avvocato è quella di tutelare nel migliore dei modi l'interesse dei propri assistiti. Proprio per questo, sono convinto che il migliore avvocato non sia quello che vince le cause, ma quello che le evita. La mia esperienza in Corte d'Appello a Milano mi ha convinto che una parte significativa della cittadinanza si sia infantilizzata nei propri rapporti con lo Stato. Troppo spesso, i singoli sentono la necessità di rivolgersi all'autorità e alla forza dello Stato (nella sua veste giudiziaria) per dispute che invece ben potrebbero e dovrebbero essere risolte bilateralmente. Per questa ragione, l'avvocato ha anche un ruolo pedagogico. Deve portare il proprio assistito non certo a condividere, ma - questo sì - a tollerare le ragioni della sua controparte, nel minimo necessario per una composizione pacifica della controversia. Ad oggi, il laureato in giurisprudenza verosimilmente non dispone delle competenze necessarie per tale ruolo. Anche per questo, sono fondamentali sia la qualità della pratica forense, sia la serietà nel percorso di formazione permanente (malgrado i vizi macroscopici e strutturali che lo affliggono). Sono felice che la mia prima esperienza formativa obbligatoria sia stata proprio in materia di risoluzione alternativa delle controversie (ADR). Il convegno tenutosi il 30/03/2017 alla Camera, e organizzato dall'Osservatorio sull'uso dei sistemi ADR, è riuscito a offrire, pur nell'eterogeneità dei temi trattati, numerosi spunti di approfondimento a chi, come me, si è avvicinato a un mondo in parte ancora sconosciuto.

giovedì 19 gennaio 2017

Mai 2011, la crise en Lybie et le défis d'une politique étrangère commune pour l'UE.

J'ai récemment retrouvé ce texte, que j'écrivis dans le mai 2011. J'ai décider de le publier sur mon blog, vus que les les thèmes abordés conservent toute leur actualité.

Alors que la crise militaire en Afrique du Nord ne semble pas proche de sa fin, il est nécessaire pour les  États et les citoyens de l’Union Européenne de réfléchir sur son début.  Insouciants des positions de leurs homologues italiens et allemands, le président français Nicholas Sarkozy et son entourage ont lancé une difficile opération militaire. L’opération prétend être justifiée sur la base d’une résolution des Nations Unies, alors que celle-ci demandait seulement l’instauration d’une no-fly zone et non pas le renversement du régime de Qaddafi.

Quel que soit le jugement de l’histoire sur cette guerre (dont les conséquences, en janvier 2017, paraissent tragique, ndr), elle a démontré l’absence d’une politique étrangère européenne. Bien que ses compétences ne cessent d’augmenter, l’Union Européenne apparaît comme une institution principalement économique. Le manque d’une politique militaire et étrangère commune est logique, car l’UE n’est pas une fédération, mais une forme très avancée de collaboration entre États indépendants. Dans le domaine de la Politique Étrangère et de Sécurité Commune (PESC) cette collaboration existe au niveau intergouvernemental, et non pas au niveau institutionnel-communautaire. Donc, ce n’est pas l’existence d’une politique étrangère autonome qui peut être critiquée, mais le fait qu’elle ait été pensée et sans aucune consultation avec ses partenaires. L’attitude française pendant cette crise semble exprimer un mépris de l’idée même de collaboration.

Pourtant, les bénéfices d’une politique étrangère commune seraient importants. L’Europe parle aujourd’hui avec vingt-sept voix différentes et le résultat est que trois quarts de ces voix ne sont pas entendues. Les quelques voix qui peuvent être entendue sont flébiles et incomparablement plus faible que la chinoise, l’américaine et l’indienne. Nos divisions nous rendent proies des autres grandes puissances. Est-il normal que l’influence d’une Russie paranoïaque, peu peuplée et encore déstabilisé soit si grande en Europe? Si l’Europe, si forte en population, richesse et culture, était vraiment unie c’est bien le contraire qui arriverait. À en profiter ne serait pas seulement les peuples de l’Union, mais la paix et la stabilité de l’Eurasie entière.

Si la création d’une politique étrangère commune demeure le grand dessin à accomplir, les difficultés qui nous en séparent sont aussi grande. Les nations européennes ne veulent pas renoncer à une telle partie de leur souveraineté. Pays comme l’Espagne, le Royaume-Uni et, surtout, la France ne sont pas seulement des nations, ce sont les  États qui ont crée l’idée de nation. En plus, certains pays ont des fortes influences qu’ils ne veulent risquer de perdre. La France a un rôle important en Afrique, le Royaume-Uni ne peut se passer de ses relations avec le Commonwealth et de la special relationship ave les  États-Unis. En outre, les nouveaux membres de l’Est sortent de l’expérience tragique du bloc soviétique et sont trop fiers de l’indépendance qu’il viennent de gagner à nouveau pour y renoncer en grande ou petite partie.

Que faire alors pour avancer le long du chemin tracé par Spinelli, Monet et les autres pères de l’intégration européenne ? Bien que leur valeur soit surtout symbolique, certaines nouveautés du Traité de Lisbonne indiquent la bonne direction : la création d’un Président de l’Union, d’un Ministre européen des affaires  étrangères (qui a conservé le nom de Haut Représentant de la PESC), l’augmentation de pouvoir du Parlement de Strasbourg et, dernier mais pas par importance, d’un service diplomatique propre de l’EU.


Cela n’est bien sur pas assez. Trouver un accord à 27 pour une politique étrangère commune semble impossible, mais la solution pourrait être une Europe à deux vitesses. Les succès de l’approche fonctionnaliste à l’intégration nous indiquent que la politique des petits pas peut porter à grands résultats. Comme les hommes de mer d’autres temps, les hommes politiques et les citoyens qui soutiennent l’idée d’une politique étrangère commune doivent avoir patience et attendre que le vent soit propice, sans pour autant perdre de vue leur destination finale.

mercoledì 18 gennaio 2017

A difesa del bilinguismo paritario in #AltoAdige #SudTirol .

Sono stato pochi giorni fa in Trentino e in Alto Adige, vedendo di persona i tentativi di alcune frange politiche di attizzare il sentimento nazionalista germanico in senso marcatamente anti-italiano. 

Né gli equilibri politici romani, né i rapporti cordiali e produttivi con i rappresentanti della minoranza linguistica tedesca ci autorizzano a chiudere un occhio su un fenomeno così pericoloso per l'unità nazionale. Fenomeno che, se tollerato, non rimarrà necessariamente limitato al Sud Tirolo, essendo suscettibile di riproporsi anche in altre aree del paese. 

L'ottica, ovviamente, non deve essere quella, speculare, di un antistorico estremismo nazionalista italiano, ma quella di una ferma, irremovibile difesa del principio del bilinguismo paritario. Mi associo quindi all'appello dei 48, recentemente sottoscritto da alcuni dei più importanti studiosi dell'Accademia della Crusca a difesa dei toponimi italiani, che vi invito a diffondere e sostenere.

venerdì 23 dicembre 2016

Se cede #Shengen, vince il terrorismo.

Sospendere Shengen, ripristinando i controlli alle frontiere nazionali, a seguito del recente attacco terroristico a Berlino, sarebbe un errore dalle conseguenze incalcolabili. La libera circolazione delle persone non è solo il più immediato beneficio derivante dall'integrazione europea, ma è anche il segno tangibile di quanto l'Unione non sia una struttura con fini meramente commerciali, ma un valore e un'opportunità molto più ampia per l'esistenza dei suoi cittadini.

Stiamo affrontando una minaccia terroristica portata avanti da qualche centinaio di persone su una popolazione di centinaia di milioni. Davvero intendiamo cedere a questa infima minoranza? Davvero siamo disposti a prendere in considerazione una misura come la sospensione di Shengen, che colpirebbe duramente, anche a livello economico, milioni di persone? Se abbandoniamo Shengen, rendiamo i nostri popoli più poveri e più divisi, per inseguire una maggior sicurezza comunque incerta nell'an e nel quantum. Così facendo, consegnamo ai terroristi una vittoria che mai sarebbero in grado di ottenere da soli. I politici che chiedono l'abolizione di Shengen vorrebbero atteggiarsi a uomini forti, ma la via che indicano è quella del cedimento, della debolezza, dell'egoismo e della codardia.

La strada da seguire è esattamente quella opposta e si fonda su resilienza, coesione e cooperazione.
Dobbiamo potenziare la capacità delle nostre comunità di reagire positivamente a eventi traumatici e a stress persistenti, quali quelli generati dal fenomeno terroristico, trasformando la minaccia in una fonte di coesione e solidarietà tra gli individui e tra i popoli del continente. Dobbiamo poi studiare forme di cooperazione piú avanzate nell'intelligence, nella difesa e nella gestione della politica estera.
Le frontiere da sorvegliare ci sono già, ma non sono certo quelle interne, tra i singoli Stati nazionali: sono quelle dell'Europa.